Un romanzo senza tempo

Un romanzo senza tempo. Pietra è nata a e cresciuta in una famiglia poverissima, nella bassa Ciociaria. La sua vita scorre tranquilla finché non irrompe la seconda guerra mondiale a spazzare via ogni sicurezza. Quando il mondo si sta faticosamente rimettendo in piedi, Pietra dovrà affrontare la prova più dura. L'istinto di sopravvivenza porta inesorabilmente ad una adattamento, ma a che prezzo? Cosa è giusto sacrificare?

Proclama

L'entusiasmo e la competenza con i quali formulate commenti, suggerimenti e giudizi dopo averlo letto non mi danno scampo: devo raccoglierli in un luogo accessibile a tutti. Questo. Ah! Voi continuate, eh?

martedì 5 aprile 2011

Occhi di velluto.

« Dopo un primo capitolo di buone premesse, la narrazione -in verità quasi più resoconto che racconto- si infrange contro lo scoglio di un’eccessiva superficialità.
Un anno scandito dagli avvenimenti legati soprattutto ai lavori e ai ritmi stagionali -si respira un certo schematismo in quel seguire pari pari il calendario di chi lavorava la campagna- che non dà il necessario spazio al “vissuto” reale di Pietra, delle sue sorelle, di Beniamino…
A seguire, una guerra che prima è eco lontana e poi sembra appena sfiorare -piuttosto frettolosamente- luoghi e persone. Una guerra che pare raccontata dal punto di vista di un lontano spettatore…
Successivamente, fatti che travolgono la vita della protagonista. Fatti che determinano una rottura del suo essere, percepibile soprattutto in un repentino cambiamento nel modo di vedere le cose, di porsi e in un linguaggio diverso -cinico e volgare- che lo rispecchia.
Una narrazione non autobiografica -ma in prima persona- che non sempre mantiene il registro linguistico aderente allo status del personaggio ( Pietra è una ragazza di bassa estrazione sociale, nata nel 1923 e con la frequenza della terza elementare) e dei tempi… Una narrazione, cioè, dove Pietra spesso scompare e lascia parlare l’autrice.
Ecco allora parole quali “sgamato”, “sballato” o espressioni del tipo “ aulenti e grosse pigne” per indicare grappoli d’uva “ o ancora “ aiuto infrastrutturale e logistico” che vengono percepite come stonate, fuori posto.
Leggendo si avverte -a tratti- anche la mancanza di pathos in un vissuto non partecipato direttamente, ma frutto forse di racconto udito o documentazione.
E i personaggi-chiave, Pietra e il padre, risultano troppo contraddittori in certi loro atteggiamenti e in alcuni tratti del carattere per apparire sempre coerenti e credibili nel raccontare un rifiuto che marchia a fuoco per l’intera vita.
Un editing più approfondito avrebbe forse giovato alla fluidità della narrazione e a segnalare come “poco felici” espressioni quali “le crocchie delle persone” -pag. 33,
“compiva il suo primo compleanno” -pag. 46, “torsoli delle pannocchie” -pag. 39, intendendo i tutoli.»
...
Questo avrei “detto” a una Monica Caira Monticelli di professione scrittrice.
Poiché dalle note biografiche apprendo che Monica Caira Monticelli è invece avvocato e lavora, presumo che scrivere sia per lei una passione, una sfida con se stessa, un impegno non indifferente in termini di tempo e di energie… Ecco allora che mi sento di dire soltanto e semplicemente:
«Brava! »

Occhi di velluto scritto il Mar 10, 2009

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