Il libro è come un bel dipinto di Giovanni Fattori, immagine della vita nella dignitosa povertà delle nostre campagne, dove risulta tangibile la durezza del terreno e delle persone. Ed è in questa tela che vanno a distinguersi i contorni della protagonista sempre più decisi, fino a diventare spigolosi e taglienti.
Il libro vale veramente la lettura, ma dato che lo stesso mi è stato prestato dall'autore per la lettura, per non essere accusato di poca obiettività mi dilungherò sull'unica osservazione critica riguardo al bel lavoro di Monica: il romanzo è a mio avviso eccessivamente stringato, in alcuni tratti pare un riassunto di una trama più articolata, più dettagliata; al termine di alcune pagine si resta come assetati di descrizioni, di sensazioni.
In molti romanzi ormai capita di imbattersi in infiniti periodi descrittivi pieni di aggettivi ridondanti che sembrano usati solo per aumentarne il peso (fisico), come se gli autori (o gli editori?) credessero ciecamente all'equazione "+ pagine = miglior libro", col risultato che le nostre librerie pullulano di pagine piene di "bambini che lanciano sassi nel lago" divenuti "fanciulli, ritratto dell'umana innata innocenza, che con una iridescente parabola gettano pietre, ancestrali ricordi levigati dal tempo, nello specchio di tranquillità azzurra, rinnovando l'incontro tra la ruvidità arida della roccia e la morbidezza setosa dell'acqua".
Ecco, il libro di Monica è esattamente il contrario, è un libro del quale vorresti che ne uscisse una versione con almeno un centinaio di pagine in più.
Il libro vale veramente la lettura, ma dato che lo stesso mi è stato prestato dall'autore per la lettura, per non essere accusato di poca obiettività mi dilungherò sull'unica osservazione critica riguardo al bel lavoro di Monica: il romanzo è a mio avviso eccessivamente stringato, in alcuni tratti pare un riassunto di una trama più articolata, più dettagliata; al termine di alcune pagine si resta come assetati di descrizioni, di sensazioni.
In molti romanzi ormai capita di imbattersi in infiniti periodi descrittivi pieni di aggettivi ridondanti che sembrano usati solo per aumentarne il peso (fisico), come se gli autori (o gli editori?) credessero ciecamente all'equazione "+ pagine = miglior libro", col risultato che le nostre librerie pullulano di pagine piene di "bambini che lanciano sassi nel lago" divenuti "fanciulli, ritratto dell'umana innata innocenza, che con una iridescente parabola gettano pietre, ancestrali ricordi levigati dal tempo, nello specchio di tranquillità azzurra, rinnovando l'incontro tra la ruvidità arida della roccia e la morbidezza setosa dell'acqua".
Ecco, il libro di Monica è esattamente il contrario, è un libro del quale vorresti che ne uscisse una versione con almeno un centinaio di pagine in più.
Girmi scritto il Oct 13, 2008
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